LA CORTE D'APPELLO DI FIRENZE Sezione I civile Composta dai Signori Magistrati: dott. Giulio De Simone Presidente rel., dott. Andrea Riccucci Consigliere, dott. Domenico Paparo consigliere. Ha pronunciato il seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 420/2014 del ruolo della volontaria giurisdizione di questa Corte, e vedente tra Frederic Marie De Courtois, rappresentato e difeso dagli avv.ti Filippo Troisi, Filippo Pacciani, Marco Penna e Marco Santini in forza di procura a margine del ricorso in opposizione ed elettivamente domiciliato in Firenze presso lo studio dell'avv. Daniela Consoli in via L. Da Vinci n. 4/A, ricorrente e Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (CONSOB) in persona del presidente e legale rappresentante dott. Giuseppe Carlo Ferdinando Vegas, rappresentata e difesa dagli avv.ti Salvatore Providenti, Gianfranco Randisi e Maria Gioconda De Gaetano Polverosi, appartenenti alla Consulenza legale interna, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, elettivamente domiciliati in Firenze presso lo studio dell'avv. Andrea Vannini, studio Paratore Pasquetti & Partners, in via Pasquale Villari n. 39, resistente e con intervento del P.G. la Corte letti gli atti del procedimento, osserva quanto segue: la Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (d'ora in avanti, anche solo Consob) con delibera n. 18924 in data 21 maggio 2014 ha applicato a Frederic Marie De Courtois (unitamente ad altri esponenti della Banca Monte dei Paschi di Siena variamente sanzionati - obbligata in solido la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.) una sanzione pecuniaria amministrativa per una serie di violazioni asseritamente compiute nella qualita' di componente del consiglio d'amministrazione della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A.; Avverso tale delibera ha proposto opposizione a questa Corte, ex art. 195 comma 4 del d.lgs. 58/98, l'interessato, deducendo, oltre a motivi di merito, motivi attinenti ai connotati del procedimento sanzionatorio dinanzi alla Consob ed alla disciplina dell'opposizione dinanzi alla corte d'appello; In sintesi, l'opponente ha sostenuto che la delibera sanzionatoria deve ritenersi illegittima per essere stati violati i principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori e della distinzione fra funzioni istruttorie e funzioni decisorie posti dall'art. 195 comma 2 del TUF, e quelli posti dall'art. 24 comma 1 della l. 262/2005, e cio' in quanto: - la Consob allo scopo della disciplina al suo interno del procedimento sanzionatorio aveva adottato le delibere n. 15131 del 5 agosto 2005 e n. 15086 del 21 giugno 2005 (la prima relativa ai termini ed al responsabile del procedimento, e la seconda agli altri aspetti funzionali); - per effetto di quanto sopra gli interessati hanno la possibilita' di presentare deduzioni all'Ufficio Sanzioni Amministrative (cui in precedenza la Divisione operativa ha trasmesso gli atti del procedimento e le sue valutazioni), e questo, considerate le valutazioni della Divisione operativa e le deduzioni dell'interessato, formula le sue conclusioni in ordine alla sussistenza o meno della violazione ed alla misura della sanzione da applicare, conclusioni delle quali e' destinataria la Commissione che, in composizione collegiale, deve poi stabilire se accogliere o meno la proposta dell'Ufficio Sanzioni Amministrative; - tale procedimento contrasta con il principio del contraddittorio in quanto nella fase finale del procedimento ed immediatamente precedente la decisione della Commissione il soggetto interessato non e' posto in grado di svolgere le sue difese; cio' in quanto l'interessato non puo' interloquire con la Commissione (in sostanza la Commissione in composizione collegiale non puo' ".... farsi una sua idea della vicenda oggetto della proposta sanzionatoria e si limita a ratificare l'operato svolto dagli - cosi' a pag. 6 dell'atto di opposizione); - la violazione del principio di conoscenza degli atti istruttori deriva dal fatto che la proposta dell'Ufficio Sanzioni Amministrative non viene portata a conoscenza degli interessati, nonostante contenga sempre elementi nuovi quali quelli attinenti alla quantificazione della sanzione amministrativa in relazione ai criteri di cui all'art. 11 della l. 689/1989; - e' esclusa la distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie in quanto, nonostante vi sia una distinzione di ruoli fra gli Uffici, non v'e' una "concreta indipendenza nell'esame delle questioni sottoposte": cio' in quanto la Commissione, ricevendo la proposta dell'Ufficio Sanzioni Amministrative "perde la sua autonomia di giudizio" in quanto alla proposta non si contrappone un'attivita' difensiva dell'interessato e la Commissione non ha poteri di indagine ed approfondimento cosicche', di fatto, l'attivita' decisoria che dovrebbe essere demandata alla Commissione e' rimessa all'Ufficio Sanzioni Amministrative preposto ad attivita' istruttoria; - elementi a conforto della tesi della illegittimita' dello specifico procedimento sanzionatorio devono trarsi dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in data 4 marzo 2014 (Grande Stevens /Italia ricorso n. 18640/10) con la quale, in relazione al procedimento sanzionatorio di cui all'art. 187-septies TUF (eguale a quello di cui all'art. 195 dello stesso TUF), sono stati accertati vizi dovuti: a) al fatto che la relazione dell'Ufficio Sanzioni Amministrative non viene comunicata agli interessati i quali, quindi, non possono difendersi proprio sul documento in relazione al quale la Consob fonda la propria decisione; b) gli interessati non hanno la possibilita' di interrogare o far interrogare le persone ascoltate dagli Uffici della Consob durante l'istruttoria; c) gli interessati non hanno la possibilita' di partecipare alla seduta nella quale la Commissione in composizione collegiale decide sull'applicazione della sanzione; - sempre in tale sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e' stato affermata per la Commissione la sussistenza della indipendenza ma non anche dell'imparzialita' in quanto gli Uffici preposti all'istruttoria e la Commissione".... non sono che dei rami dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l'autorita' e la supervisione di uno stesso Presidente" e cio' comporta "... l'esercizio consecutivo delle funzioni di inchiesta e di decisione nel seno di una stessa istituzione, cio' che e' incompatibile, ad avviso della Corte, con l'esigenza di imparzialita'"; il procedimento di opposizione dinanzi alla corte d'appello (art. 195 comma 4 del d.lgs. 58/98) e' camerale, come reso evidente dall'art. 195 comma 7 del d.lgs. cit ("La corte d'appello decide sull'opposizione in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, con decreto motivato"); gli opponenti nella sostanza deducono l'illegittimita' della delibera sanzionatoria per carenze di contraddittorio che si collocano all'interno del procedimento Consob, ma non pare corretto valutare le garanzie di difesa per segmenti del procedimento, prescindendo dalla considerazione della fase eventuale, a cognizione piena, dinanzi all'autorita' giudiziaria; al riguardo occorre richiamare i principi espressi dalla Corte EDU nella detta sentenza n. 18640 dei 4 marzo 2014 resa in un caso in cui si discuteva di sanzioni per illeciti ex art. 187-ter TUF dalla Corte stessa qualificate come sostanzialmente di natura penale; giova al riguardo ricordare che giusta tale sentenza (cfr. paragrafo 94) ".... al fine di stabilire la sussistenza di una «accusa in materia penale», occorre tener presente tre criteri: la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest'ultima e la natura e il grado di severita' della «sanzione» (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22). Questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi: affinche' si possa parlare di «accusa in materia penale» ai sensi dell'art. 6 § 1, e' sufficiente che il reato in causa sia di natura «penale» rispetto alla Convenzione, o abbia esposto l'interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravita', rientri in linea generale nell'ambito della «materia penale». Cio' non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l'analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una «accusa in materia penale» (Jussila c. Finlandia [GC], n. 73053/01, §§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, § 31, CEDU 2007-IX (estratti))"; parimenti occorre richiamare la giurisprudenza della Corte cost. (in particolare sentenza n. 104 del 2014) per la quale tutte le misure di carattere punitivo afflittivo (ivi comprese evidentemente quelle che l'ordinamento interno qualifica come sanzioni amministrative) devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto (principio espresso agli effetti della irretroattivita' delle disposizioni che introducono sanzioni amministrative); premesso che non e' incompatibile con la Convenzione affidare la repressione di violazioni ad una autorita' amministrativa quale e' la Consob (paragrafo 138 sentenza Corte EDU cit.), il rispetto della Convenzione, a prescindere da carenze di contraddittorio che possano essersi verificate in alcune fasi del procedimento, viene assicurato dalla possibilita' di ricorrere ad un giudice dotato di giurisdizione piena quale e' la corte d'appello; la conclusione cui e' giunta la Corte EDU e' stata, quindi, nel senso che ".... il procedimento dinanzi alla CONSOB non soddisfacesse tutte le esigenze dell'art. 6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parita' della armi tra accusa e difesa e il mancato svolgimento di una udienza pubblica che permettesse un confronto orale"; nonostante quanto precede la Corte ha escluso una automatica violazione dell'art. 6 della Convenzione proprio in quanto: 1) non era contrario alla Convenzione che le sanzioni, giusta la normativa interna, fossero inflitte da un'autorita' amministrativa quale e' la Consob; 2) occorreva che i soggetti destinatari passivi dei provvedimenti sanzionatori potessero impugnarli dinanzi ad un tribunale in grado di dare una decisione nel rispetto dell'art. 6 della Convenzione; 3) cio' era avvenuto nella fattispecie in quanto gli interessati si erano avvalsi della possibilita' di impugnare le sanzioni inflitte dinanzi alla corte d'appello di Torino; il problema secondo la Corte EDU atteneva allo stabilire se tale Corte d'appello fosse "organo dotato di piena giurisdizione" ai sensi della sua giurisprudenza (questione risolta in senso affermativo), e se l'udienza svolta dinanzi a tale giudice fosse stata pubblica; e' proprio in riferimento alla assenza di udienza pubblica che la Corte EDU e' giunta alla conclusione della violazione della Convenzione ("161. Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che, anche se il procedimento dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto le esigenze di equita' e di imparzialita' oggettiva dell'art. 6 della Convenzione, i ricorrenti hanno beneficiato del successivo controllo da parte di un organo indipendente e imparziale dotato di piena giurisdizione, in questo caso la corte d'appello di Torino. Tuttavia, quest'ultima non ha tenuto un'udienza pubblica, fatto che, nel caso di specie, ha costituito una violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione."); la pubblicita' dell'udienza, nell'assunto espresso dalla Corte EDU in tale decisione, ha, quindi, assunto una funzione centrale e di necessaria chiusura del sistema delle garanzie; per altro la giurisprudenza della Corte EDU in ordine alla imprescindibilita' della udienza pubblica agli effetti del rispetto dell'art. 6 § 1 della Convenzione non esprime un principio assoluto valido per tutti i casi; ad es. nella sentenza in data 23/11/2006 nel caso Jussila contro Finlandia la Corte EDU dopo aver ribadito che tenere un'udienza pubblica e' un principio fondamentale posto dall'art. 6 della Convenzione e che tale principio e' di particolare importanza nella materia penale, ha osservato che ".... l'obbligo di tenere un'udienza pubblica non e' assoluto. L'art. 6 non esige necessariamente di tenere udienza in tutti i procedimenti. Cio' vale, in particolare, per i casi che non sollevano questione di credibilita' o che non scatenano controversia sui fatti che necessitano di una udienza e per i quali i tribunali possono pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle conclusioni presentate dalle parti e di altri elementi. Inoltre, la Corte ha riconosciuto che le autorita' nazionali possono tener conto dei problemi di efficienza ed economicita', ritenendo, per esempio, che l'organizzazione sistematica di dibattiti possa costituire un ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza sociale ed, in definitiva, impedire il rispetto di un termine ragionevole ai sensi dell'art. 6 § 1...."; ancora in tale sentenza e' stato osservato che ".... in un procedimento di prima ed ultima istanza, l'udienza deve essere tenuta, salvo circostanze eccezionali che giustifichino di farne a meno l'esistenza di tali circostanze dipende in gran parte dalla natura dei problemi di cui i tribunali sono investiti, e non dalla frequenza dei casi in cui si presentano..."; la sanzione inflitta agli opponenti deve essere qualificata di natura lato sensu penale, nonostante l'ordinamento interno la qualifichi formalmente come sanzione amministrativa, in quanto sono vincolanti l'interpretazione data dalla Corte EDU e l'indicazione da essa fornita dei criteri in relazione ai quali vagliare l'effettiva natura di una sanzione; chiarito che la qualificazione data dall'ordinamento interno non e' dirimente, in quanto occorre verificare se una sanzione sia di natura "penale" agli effetti della applicazione della Convenzione, non puo' non considerarsi la particolare gravita' afflittiva della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 190 del d.lgs. 58/98, per la violazione dell'art. 21 dello stesso d.lgs. in un importo da € 2.500,00 ad € 250.000,00; al riguardo occorre precisare che deve aversi riguardo, agli effetti che qui interessano, alla sanzione edittale e non a quella in concreto irrogata in quanto, ovviamente, individuazione della natura della sanzione prescinde dalle circostanze che ne determinano la modulazione fra il minimo ed il massimo; convince ulteriormente della detta natura lato senso penale l'esclusione, disposta dall'art. 190 del d.lgs. 58/98 dell'applicabilita' dell'art. 16 L. 689/81 (pagamento in misura ridotta), e soprattutto il regime pubblicitario proprio delle sanzioni Consob; al riguardo occorre ricordare che giusta l'art. 195 comma 3 del d.lgs. 58/98 "Il provvedimento di applicazione delle sanzioni e' pubblicato per estratto nel Bollettino della Banca d'Italia o della CONSOB. La Banca d'Italia o la CONSOB, tenuto conto della natura della violazione e degli interessi coinvolti, possono stabilire modalita' ulteriori per dare pubblicita' al provvedimento, ponendo le relative spese a carico dell'autore della violazione, ovvero escludere la pubblicita' del provvedimento, quando la stessa possa mettere gravemente a rischio i mercati finanziari o arrecare un danno sproporzionato alle parti: la previsione di pubblicita' (nel caso in esame e' stata confermata la pubblicita' normalmente prevista per estratto nel Bollettino della Consob), estensibile a forme ulteriori (quali la pubblicita' su quotidiani), evidenzia ulteriormente il carattere afflittivo della sanzione, in ragione delle ripercussioni negative sull'immagine del soggetto colpito dal provvedimento sanzionatorio; le considerazioni che precedono evidenziano una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 195 comma 7 del d.lgs. 58/98, norma che potrebbe essere in contrasto con l'art. 117 Cost. in quanto non conforme all'art. 6 della Convenzione; la questione oltre ad essere non manifestamente infondata, e' rilevante in questo giudizio in quanto, accertata la natura lato sensu penale della sanzione giusta i vincolanti criteri di valutazione posti dalla Corte EDU, dovendo questa Corte d'appello necessariamente seguire il rito camerale imposto dalli art. 195 comma 7 del d.lgs. 58/98 (senza che sia possibile una diversa interpretazione, salvo una inammissibile disapplicazione della norma, e senza che sia possibile introdurre il correttivo della pubblicita' dell'udienza che, di per se', renderebbe non camerale il procedimento), ed essendo il rito camerale, per definizione, caratterizzato dalla assenza di una pubblica udienza, essendo il giudizio di opposizione, secondo la giurisprudenza della Corte EDU suscettibile di integrare, in presenza di determinate condizioni, il sistema di garanzie che deve connotare il procedimento sanzionatorio, ove un giudizio che si svolge con il rito camerale fosse al riguardo inidoneo, la conclusione obbligata sarebbe l'eccepita illegittimita' del procedimento sanzionatorio e del provvedimento sanzionatorio che lo conclude; preme rilevare che il sospetto di non conformita' a Costituzione (art. 117 comma 1) investe l'art. 195 comma 7 del d.lgs. 58/98, e non anche le norme del codice di rito che prevedono il rito camerale; la Corte costituzionale in ordine a tale rito si e' gia' espressa, ed occorre segnatamente ricordare la sentenza 543/1989 con la quale e' stato affermato che secondo la costante giurisprudenza della Corte stessa ".... il procedimento camerale non e' di per se' in contrasto con il diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest'ultimo e' variamente configurabile dalla legge, in relazione alle peculiari esigenze dei vari processi 'purche' ne vengano assicurati lo scopo e la funzione', cioe' la garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti"; nella stessa sentenza e' stato osservato che ".... L'adozione della procedura camerale, anche nei casi in cui si e' in presenza di elementi di giurisdizione contenziosa, risponde dunque a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione che il legislatore compie circa l'opportunita' di adottare determinate forme processuali in relazione alla natura degli interessi da regolare ed, in quanto tale, sfugge quindi al sindacato di questa Corte 'nei limiti in cui, ovviamente, non si risolve nella violazione di specifici precetti costituzionali e non sia viziata da irragionevolezza' (ordinanza n. 748 del 1988 e sentenza n. 142 del 1970)"; la Corte cost. nella detta sentenza, non ha mancato di rilevare che il rito camerale non viola il diritto di prova in quanto ".... anche nel rito camerate in appello e' possibile acquisire ogni specie di prova precostituita e procedere alla formazione di qualsiasi prova costituenda, purche' il relativo modo di assunzione - comunque non formale nonche' atipico - risulti, da un lato, sempre compatibile con la natura camerale del procedimento, e, dell'altro, non violi il principio generale della idoneita' degli atti processuali al raggiungimento del loro scopo..."; la questione pero' non e' quella di stabilire se il rito camerale assicuri sufficientemente la difesa od il contraddittorio, bensi' quella di stabilire se un'opposizione avanti ad un giudice dotato di giurisdizione piena ma vincolato al rito camerale possa integrare carenze del procedimento sanzionatorio Consob; una risposta negativa al quesito porrebbe il detto art. 195 comma 7 del d.lgs. in contrasto con l'art. 6 § 1 della Convenzione e, quindi, con l'art. 117 Cost.; il dubbio al riguardo non e' manifestamente infondato stante la ricordata giurisprudenza della Corte EDU laddove ha segnalato la particolare importanza dell'udienza pubblica quando si discute di sanzioni penali; certo, come si e' detto, il principio della pubblicita' dell'udienza non e' stato espresso in termini assoluti, e la necessita' o meno di una pubblica udienza va ricostruita in relazione alla natura della questione controversa, ma tale operazione si risolve nel giudizio di conformita' all'artt. 117 comma 1 Cost. della detta norma, conformita' sulla quale questa Corte non puo' non esprimere un dubbio sulla base della giurisprudenza della Corte EDU (analoga questione, per altro, risulta sollevata recentemente dalla Corte d'appello di Genova; con ordinanza 10/12/2014 - 08/01/2015).